A Milano c’è un luogo che merita la qualifica di gioiello, ma gioiello con la G maiuscola, per la sua grandiosa nobiltà nonché per le superbe fattezze estetiche in cui si concreta.
Stiamo
parlando della Biblioteca Nazionale Braidense, e nella fattispecie della sua
sala più sublime: l’antichissima Sala Maria Teresa, titolata alla Sovrana
austriaca illuminata che, nel 1770, volle dare vita a questa importante
istituzione, realizzata unendo l’antica biblioteca del soppresso ordine degli
amici di Gesù – di cui vi ricordo come abbiam detto nelle puntate precedenti la
Braida era Collegio – a un importante lascito librario d’un conte milanese, con
l’obbiettivo di aprire alla cittadinanza una nuova fonte del sapere. Una sovrana
che, oltreché ‘illuminata’ definirei proprio
luminosa, visto che durante la sua reggenza fece cose nel mio sistema di
pensiero considerate molto belle e importanti: rese obbligatoria l’istruzione
primaria, che voleva rendere accessibile a tutti, ridimensionò i poteri del clero riaffermando
il giurisdizionalismo e la laicità dello stato, dismise l’Inquisizione; voglio
dire, ma che volere di più? In poche mosse questa gran signora mise delle sane toppe
alle storture che i paesi del Vecchio Continente si erano trascinati per tutta
l’epoca moderna.
Come
già accennato blaterando a proposito dell’Orto Botanico, anche la Biblioteca
Nazionale Braidense trova dunque la sua ubicazione nello ‘stracolmo’ palazzo di
Brera, tra Pinacoteca, Accademia, Museo Astronomico e appunto il succitato orto.
Quanta robba insomma signori miei!
Un’istituzione
antichissima, dicevamo, che trae la forza della sua bellezza precisamente e
dalla ‘scientificità’ che la informa (è, oltre che istituzione storica,
biblioteca tutt’ora attiva, al prestito e alla consultazione), e dal suo
aspetto, maestoso da togliere il fiato: dopo aver lasciato armi e bagai in un
apposito stanzino (perché anche voi,
facce d’angelo dei miei lettori, potreste in fondo rivelarvi sgraffignatori di
libri antichi) e percorsa l’ultima rampa di scale che vi separa da questo
empireo della cultura, potrete finalmente avere accesso al meraviglioso luogo
in questione, superando una già irresistibile porticina lignea con targa in caratteri
d’ottone che ci indica, come lo stemma in ferro battuto incontrato più sotto,
la via corretta per la Biblioteca Nazionale Braidense.
Ed
ecco che, arrivati qui, al cuore delle stanze dell’immenso ma sempre troppo
piccolo per tutto ciò che ospita palazzo di Brera, siete pronti a farvi
impossessare dallo stupore, dal silenzio, dalla meraviglia più completa e
perfetta. E pure da un po’ di ‘trepida
d’ansia’ e di soggezione, come racconta il buon Bianciardi nella sua Vita
agra, che si apre proprio con una descrizione assai gustosa, bianciardiana
appunto, di questa sala solenne. L’ambiente che vi si aprirà allo sguardo,
progettato in tutta la sua scenograficità da Giuseppe Piermarini, è interamente
di legno, come rettamente ci si aspetterebbe da una biblioteca antica. Se è
vero che la Sala Maria Teresa non è la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (guarda caso austriaca pure quella), il
luogo in cui muoverete felpatamente i vostri passi per non disturbare i lettori
seduti nelle sale affianco (e una di queste, la più piccina e raccolta, è
dedicata alla grande scrittrice, poetessa, pittrice nonché eroina della nostra
Resistenza Lalla Romano), vi ispirerà un senso di commosso rispetto per tutta
la cultura che ospita e che esprime: le pareti della biblioteca sono infatti
interamente perimetrate da una scaffalatura continua, dai caldi toni del legno di noce, e su ogni scaffale è
riposto un quantitativo ingente di libri. Antichi. Con il dorso in pelle
rilegato, a volte anche un po’ macilento, a suggerire, nel suo aspetto fragile,
la caducità della materia di cui è costruito ma anche la solennità e
l’immortalità di quanto vi è scritto – stampato
– sopra. Consegnatoci dalla Storia. È difficile spiegare, bisogna vederlo. Per
me, che diedi dos esami sul tema della nascita della stampa e del libro antico,
entrare qui è un’emozione fortissima. Tutte le cose antiche che hanno
attraversato i secoli, del resto, la scatenano. Ma i libri antichi ancor di
più. Perché sono un oggetto magico, in fondo. Non importa di che parlino;
appunto parlano. Sono un dono, forse
il più prezioso, del passato. E si incarnano in una materialità, sempre, come
ci ricorda il buon Roger Chartier. Non è solo e puro ‘testo’: è primariamente oggetto, il libro. Che ci racconta, anche,
un’affascinantissima storia della tecnica e degli uomini, delle maestranze
artigiane e dei ruoli coinvolti nell’industria editoriale… Che è, non a caso,
la prima industria moderna. Per capitale, per le organizzazioni sindacali nate
per la prima volta in seno ad essa e per le relative, spesso aspre rivolte, per
la suddivisione e la specializzazione del lavoro. Nonché per la progressiva
meccanizzazione degli strumenti impiegati.
Per
questo, a colpo d’occhio, percorrere con lo sguardo e abbracciare la visione
della sala Maria Teresa, spaziando da sinistra verso destra e in basso verso
l’alto (da notare il meraviglioso ballatoio, che crea un doppio piano parimenti
stipato rispetto al primo), mi riesce emozionante. Soprattutto se alla Sala
Maria Teresa ci vai un giorno in ottima compagnia e, a tradimiento, una
commessa ti sfila un libro antico a caso dalla parete e te lo apre davanti,
sotto al tuo naso. Te lo mostra, lo sfoglia, e tu lo puoi guardare da vicino,
senza vetri in mezzo. E ti ritrovi senza volerlo, incitata da un improvvisato
pubblico di due giovani signori sconosciuti ma parecchio interessati, a tenere
(io, mon dieu!) una lezione sul libro antico (ah-ah-ah-ah-ah-ah-ah!), fonte il testo, bellissimo, di Baldacchini. E spieghi e
indichi – su un esemplare dal vero,
cristo re! – il corsivo aldino. E racconti delle resistenze culturali che gli
uomini della generazione del manoscritto ebbero nei confronti del nuovo libro a
stampa, infinite volte meno prezioso allora, e soprattutto considerato infinite
volte meno affascinante. Quasi meno veritiero.
E poi accorgendoti che il piccolo ma lusinghierissimo uditorio è intrippato
assai, e a momenti prende appunti (oh davvero, questa è una delle cose più
assurde e belle che mi siano capitate chiacchierando con degli sconosciuti!),
ti soffermi anche a parlare dei nemici dei libri: il deterioramento degli
inchiostri (come quello ‘arsenicato’ citato da Bianciardi, colpevole dopo
duecento anni di 'rodere la carta'), muffe,
animaletti, pesciolini d’argento e inadeguate condizioni termoigrometriche di
conservazione… Insomma signori, una mattinata involontariamente epica! In cui
comunque ho molto sudato dall’ascella, perché se è vero che in questo bloggo
sono una sbruffoncella e scrivo quel che mi pare, fare il relatore (io! che nun so un cazz!), inaspettatamente,
per giunta in un luogo storico e davanti a della gente che, nonostante il tuo
essere manifestatamente una comune passante, ti incita e ti prende assai sul
serio, financo ringraziandoti alla fine (!),
non è che mi riesce proprio facilissimissimo.
Ma
riprendendo il filo del nostro discorso…
Insomma,
già per tutti questi motivi che ho elencato, come potrebbe la Sala Maria Teresa
non essere un luogo del mio cuore?
Ma
ebbene signori, c’è dell’altro. Ci sono le mostre temporanee, tutte molto belle
(e aggratisse vorrei anche sottolineare). Che poi sono l’occasione per tornare
in questa antichissima e meravigliosa biblioteca, tornare, tornare e ancora
tornare. Nel frangente di queste esposizioni vengono all’uopo allestite le
teche di legno e vetro che occupano la sala, dove esposti sono di volta in
volta libri antichi, libretti d’opera, ex libris a stampa… Insomma, la
Biblioteca Braidense non si smentisce mai.
Eppoi
c’è un altro meraviglioso motivo per cui non si può amare questo luogo, che
concorre anche questo alla definizione di un’atmosfera solenne e magica: i due
lampadari. I due enormi, sfarzosi, bellissimi lampadari. Che durante le mostre
riflettono in maniera proprio bellina le loro lucine sui vetri delle teche. Due
giganteschi lampadari in raffinato cristallo di Boemia, a gocce sfaccettate;
due degli oltre venti disposti su tre file che adornavano in maniera eccelsa,
con il gioco dei loro mille riflessi sfavillanti, la Sala da Ballo di Palazzo
Reale, ossia l’antica Sala delle Cariatidi. Tutti gli altri videro infrangersi
la loro eleganza e il loro lucente sfavillìo sotto le bombe che
colpirono Milano nel ’43. Deturparono e menomarono le sculture disciogliendone le fattezze, abbattendo completamente il soffitto
dell’ampio salone. Che non fu mai ricostruito com’era un tempo, scelta-memento
contro ai rovinosi, per dirla alla Goya, disastri della guerra. Gli unici due
lampadari superstiti, frutto di un’attenta ricostruzione, trovarono qui la loro
nuova dimora: splendenti come un tempo, a dare e ricevere lustro a questa sala
consacrata al libro antico, alle scienze, alla letteratura, alla
giurisprudenza, all’astronomia. Alla cultura. Una cultura pensata per tutti, in
quanto ovviamente biblioteca, ente preposto alla propagazione del sapere. Che è
una delle cose più belle e importanti alla quale una civiltà degna di questo
nome dovrebbe sempre provvedere, onde poter modellare uomini adulti, fuoriusciti dallo stato di
minorità – per citare il pensatore di Königsberg in uno dei suoi più
celebri passaggi.
E
mentre vagherete con lo sguardo tra gli scaffali, rimanendo a bocca aperta per
la quantità di tesori che vi sono custoditi (notando anche, con una certa
ironia, come il ‘peso’ della cultura abbia felicemente imbarcato le mensole
lignee), vi perderete nella contemplazione di questo cosmo incantato, dove
assaporare ‘ sul campo’ la vicenda di uno dei più cruciali trapassi culturali
avvenuti nel corso della Storia: la nascita del libro stampato e la sua
diffusione. La diffusione cioè della cultura e del sapere, la loro
accessibilità, la fondamentale premessa della loro messa a disposizione per chiunque. Proseguendo dunque il
vostro tour con aria leggermente poco intelligente, colti e sopraffatti dalla
totale, affascinante meraviglia che vi attornia.
Il
tutto… Il tutto sotto allo sguardo pacioso e sorridente della tracagnotta
sovrana Maria Teresa d’Austria, illuminata e luminosa, che, nel vostro
incantato vagare, vi guarda e vi segue con aria soddisfatta dal grande ritratto
che campeggia all’ingresso della sala; era proprio questo, del resto, quel che voleva
che accadesse.
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